Sarà davvero la fine dell’Overtourism o tornerà tutto esattamente come prima?

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In questi mesi di stop forzato ci siamo sforzati nel fare analisi, previsioni e proporre soluzioni improbabili in uno scenario del tutto nuovo per chiunque.

Ad alcune settimane dalla fine del Lockdown però, nonostante in un precedente articolo parlassi del possibile scenario di forti cambiamenti in cui ipotizzavo a possibili rivoluzioni radicali, mi sento già di dire che la speranza del “tutto non sarà come prima” (perché in molti ci speravamo) potrebbe essere presto già svanita. 

In questa enorme tragedia abbiamo ancora l’opportunità per ripensare a un nuovo stile di vita e a dei nuovi modelli, soprattutto nel turismo. Perché vi prego, non dimentichiamoci del turismo com’era prima, non dimentichiamo gli inchini delle navi da crociera, le orde di persone in Piazza San Marco a Venezia, i centri storici delle città completamente depredati, le spiagge con 10 persone accalcate in un metro quadro ed il mare pieno di rifiuti di plastica.

In questi mesi oltre ai disastri dell’emergenza sanitaria abbiamo rivisto fiumi ripulirsi, il mare di Napoli tornare azzurro, l’aria di Milano di nuovo respirabile o quasi.

Al di là del discorso ambientale c’è un concetto che deve essere chiaro: può (e deve) esistere un’economia che sia anche sostenibile, sia per noi che per l’ambiente che ci circonda.

Il ritorno alle attività lavorative e agli spostamenti sta dando anche alcuni segnali positivi, in quanto sembra che ci sia una maggiore attenzione a cosa si faccia e come lo si faccia.

Da alcuni anni gestisco con alcuni amici una startup che si occupa di rental di ville e case vacanze nel Cilento e nelle ultime settimane stiamo ricevendo decine di richieste anche per strutture che una volta si faceva fatica a riempire, perché lontano dalle località più popolari o magari isolate e in posizione leggermente più defilata dal mare. 

Riflesso, questo, di un atteggiamento piuttosto comune tra chi ha voglia di viaggiare in questo periodo:

Allo stesso tempo a pochi giorni dall’apertura le persone hanno preso d’assalto i vari Mondo Convenienza, Zara, Ikea e McDonald’s. Nulla contro queste aziende ma rivedere esattamente le stesse scene del periodo natalizio dopo tutto quello che è accaduto ti fa un po’ pensare che forse nulla è cambiato e nulla cambierà.

Su questo va fatta anche un’importante riflessione perché è interessante notate come le principali problematiche legate al concetto di Overtourism (cioè congestioni, sovraffollamento e tensioni sui servizi e i trasporti) si ritrovino in effetti nelle aree in cui maggiormente si è diffuso il COVID-19.

E proprio questa emergenza e la totale interruzione di viaggi, allora, ha offerto l’opportunità agli enti locali e agli altri attori turistici di avere il tempo a disposizione per pensare a un turismo più intelligente e sostenibile.

Molti ipotizzano una riscoperta dei borghi che soprattutto al Sud non sono mai riusciti a mettere sù un’offerta turistica coerente. Ma in che modo può un piccolo borgo riuscire a supportare un flusso turistico senza gli standard minimi di servizi di accoglienza? Fino a che punto può essere sostenibile il “turismo green” e slow?

Mi è capitato spesso di gestire la promozione di alcuni luoghi d’attrazione che mi chiedevano questo, ma che poi nella realtà non erano realmente in grado di gestire nemmeno dieci richieste in più quindi anche in questo caso va capito cosa vuol dire puntare sui piccoli borghi e soprattutto come farlo.

Come potremmo mai limitare i danni del turismo di massa?

Con la tutela dell’esperienza, dell’autenticità e della qualità della vita delle destinazioni.

Riducendo il flusso di visitatori con le giuste regole di gestione degli assembramenti e di distanziamenti si preserverebbe la qualità del servizio, che attirerebbe nuovi viaggiatori e aumenterebbe anche la spesa media.

Insomma, la pandemia potrebbe rivelarsi un’occasione per ripensare l’offerta turistica italiana con azioni pianificate nel breve e lungo termine.

Nell’immediato si adotterebbero soluzioni incentrate sulla sanificazione di ambienti e strutture e sulla riqualificazione di organizzazione, investimenti e lavoro.

Nel medio-lungo periodo si dovrebbero cercare nuovi modelli di business basati sulla crescente domanda di vacanze nella natura, destinazioni minori e mete minori, in modo da dare attenzione ai valori culturali e paesaggistici del nostro territorio.

“Cerchiamo di non ripresentarci, al termine di questo dramma, uguali a prima, ma cerchiamo nuovi modelli di business, fondati su valori diversi, su cui l’Italia ha moltissime carte da giocare”


Madga Antonioni, fonte Il Corriere della Sera

Tuttavia, adeguare un’offerta che negli anni si è fondata proprio sul modello del turismo di massa non sarebbe né semplice né immediato. E soprattutto non si ha nessuna garanzia che tutto questo venga effettivamente applicato.

L’Overtourism non finirà, si è soltanto preso una pausa

Questo è l’epilogo di un interessantissimo articolo pubblicato su Traveller.com e che ad oggi, purtroppo, mi sento di condividere in pieno

Forse non è vero che il Coronavirus dichiarerà la scomparsa dell’Overtourism, semplicemente perché il turismo è sempre stato molto resistente alle crisi. Le folle torneranno, certo magari inizialmente in piccoli rivoli prima di sfociare in inondazioni, ma torneranno.

Questo perché una volta che la fiducia si rafforzerà e la quarantena sarà solo un lontano ritorno, lo tsunami di visitatori tornerà a invadere le città d’arte e le località balneari. E perché i vari operatori del turismo dovrebbero impegnarsi a fermare questa ondata se è proprio questa che fa girare l’economia pubblica e privata?

C’è solo da sperare in una gestione più consapevole dei flussi turistici e in una più attenta differenziazione dell’offerta, ma sinceramente al momento preferisco restare scettico.